Nato e cresciuto a Greve in Chianti, Italo Baldini è uno storico appassionato del territorio.

Figlio dello storico Carlo Baldini e fratello del filosofo Massimo Baldini, da oltre quarant’anni si dedica alla ricerca storica, riportando alla luce frammenti dimenticati della vita locale.

Dopo una carriera nella pubblica amministrazione oggi continua a studiare e divulgare la storia, di Greve e non solo.

Parlare con Italo Baldini è come aprire una porta su un mondo fatto di storie, dettagli e memorie sepolte.

Gli brillano gli occhi quando racconta le sue scoperte, soprattutto quando entra nel cuore del suo lavoro, fatto non solo di risultati ma anche – e soprattutto – del processo di ricerca.

Le gite fuori porta, le biblioteche dimenticate, i percorsi imprevisti che si aprono lungo la strada: ogni tappa è parte integrante della sua indagine.

Parla spesso di “serendipity”, quella felice casualità che, partendo da una ricerca, conduce a scoperte inaspettate.

Ed è proprio così che continua il suo lavoro, con la stessa passione di sempre, scavando tra documenti e testimonianze per far emergere nuovi tasselli della storia.

Com’è nato il progetto “Greve com’era”?

“È nato su Facebook come raccolta di fotografie, cartoline e testimonianze del territorio. La gente mi invia materiale che io commento e condivido, offrendo un contesto. Da questa attività è nata l’idea di organizzare incontri pubblici, poi diventati una rassegna vera e propria con il sostegno del Comune e della biblioteca”.

Una passione di famiglia, la sua…

“Sì, direi di sì. Il mio primo volume, scritto con mio padre, risale al 1979. Da allora non ho mai smesso di scrivere. Dopo la pensione, ho avuto ancora più tempo per approfondire le mie ricerche”.

Cosa significa per lei raccontare la storia di Greve?

“Vuol dire scoprire connessioni nuove, dettagli nascosti. Mi concentro spesso sulle persone comuni, non solo sugli eventi maggiori. La storia non è fatta solo di re e imperatori, è come un campo già zappato più volte, ma in cui si può sempre trovare un pezzo di terra ancora vergine”.

Ha approfondito anche la condizione femminile nel passato. In che modo?

“Non lavoro con statistiche, ma studio atti e documenti. Ad esempio, nel Settecento, il vescovo aveva anche funzioni di polizia. Le donne erano spesso le più colpite da restrizioni. Ricordo il caso dei bottegai: durante la messa domenicale, dovevano chiudere. Ma il pane fresco si vende di domenica! Così fu concesso di aprire solo metà sportello: un dettaglio che racconta molto”.

Di recente ha pubblicato un volume sui “cabrei”. Cosa sono?

“I cabrei sono documenti catastali estremamente dettagliati, ricchi di informazioni su abitazioni, coltivazioni, proprietà e famiglie. Il mio prossimo libro, in cui approfondisco questo tema, sarà pubblicato a giugno con il titolo “Le mappe degli antichi cabrei di Panzano e Chianti (1565-1780)”, edito da Chiria. L’opera raccoglie preziosi materiali utili a ricostruire la vita economica e sociale dell’epoca”.

Qual è stata la scoperta più significativa?

“Più che scoperte clamorose, mi appassiona il processo: incrociare fonti diverse, far dialogare documenti lontani nel tempo. Un esempio è l’analisi di diversi cabrei, dal 1565 al 1780, relativi allo stesso luogo. Ho potuto seguire l’evoluzione di una proprietà attraverso i secoli. Ho anche studiato la figura di Elena Vespucci, donna nobile e carismatica che seppe usare il suo nome per costruirsi un ruolo in una società maschile. La sua storia illumina le dinamiche di potere e appartenenza del suo tempo”.

“La storia si ripete”: lei è d’accordo?

“In parte. Alcuni schemi si ripresentano, ma non esiste un ciclo perfetto. A volte vediamo accadere qualcosa, poi il suo opposto, e poi ancora il contrario. Per questo la conoscenza storica è fondamentale: ci aiuta a capire il presente e a orientarci nel futuro”.

Cosa si augura per la storia di Greve in Chianti?

“Che le nuove generazioni se ne appassionino. Oggi abbiamo molti strumenti, ma serve anche la capacità di interpretare le fonti. La storia locale va studiata non solo per ricordare il passato, ma per capire meglio chi siamo”.

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