Storia e cultura. Tradizioni contadine e prodotti delle antiche nobiltà. E poi olivi e fiori. E finocchio selvatico. Sole e profumi.
Quelli dei giaggioli, degli iris, che nell’Iris Day organizzato da Pruneti oggi, domenica 7 maggio a San Polo in Chianti (Greve in Chianti), svettano fieri verso il cielo in questa domenica primaverile dal sole estivo.
Dal paese salgono le voci della Fiera del Giaggiolo, con la “ruota” dei cacciatori che chiama a raccolta.
Mentre con Gionni Pruneti circa cento persone compiono un semplice percorso di 4 km che, a un tiro di schioppo dal paese, racconta una storia affascinante.
Quella di una famiglia intrecciata da sempre all’agricoltura, ai campi. All’olio e all’olivo, prima di tutto. Ma anche al vino, allo zafferano e, appunto, ai giaggioli.
Dei quali (dell’iris pallida, quella che si commercia, per la cosmetica soprattutto) sono fra i principali (forse i principali) produttori in Europa.
Perché Gionni e Paolo Pruneti, quando hanno avuto la responsabilità di portare avanti l’azienda di famiglia, hanno deciso che la coltivazione del giaggiolo non doveva finire. E, anzi, l’hanno rilanciata. E la stanno rilanciando.
Quello che si compie in questi 4 km di semplice camminata, fino al pic-nic finale fra bancali e “balle” di iuta, sotto alle querce che confinano con i campi di giaggioli, punteggiati dagli ultimi asparagi della stagione, è un percorso (a dir poco) affascinante.
Il racconto di Gionni Pruneti spazia dai tempi in cui l’estirpazione dell’iris veniva fatta, qui a San Polo, su input dei monaci del monastero “in vetta” a una delle colline che guardano il paese.
Si intreccia con la storia di Firenze, di cui l’iris è il simbolo (no, non è un giglio quello sullo stemma della città, è un iris, un giaggiolo).
“Del resto – dice Gionni Pruneti – Florentia, Firenze, non si chiama certo così per caso…”.
E allora nelle sue parole si scopre il passaggio dalla raccolta dell’iris come pianta spontanea alla sua coltivazione. La storia di un paese, San Polo, “costruito grazie ai giaggioli e alla loro economia”.
Che oggi è adagiato sulla direttrice Valdarno-Firenze, con la strada provinciale 56, ma che in passato si adagiava lungo la strada che “tagliava” dalla Pieve di Rubbiana verso Cintoia.
Un paese in cui vivevano (come in tutto il Chianti del resto) le famiglie contadine di una volta: 20, 30 persone in casa insieme.
E le donne e i bambini venivano incaricati delle lavorazioni a casa del giaggiolo. Di fare le talee, della loro ripulitura e affettatura.
Un mondo che ha generato ricchezza a San Polo, e che si è interrotto negli anni Ottanta-Novanta, quando l’industria profumiera francese ha “scoperto” la chimica.
Ma qui non ci si è arresi. E i giaggioli oggi punteggiano i campi dei Pruneti tutto intorno a San Polo.
In un percorso che si struttura per essere economicamente sostenibile: che è poi l’unico modo per rispettare il lavoro che serve (non poco, e tutto o quasi manuale) e la pianta stessa.
Che ci accompagna fin da quando siamo bambini. Ogni chiantigiano ha un giaggiolo, un iris selvatico, che cresce in un campo accanto a casa.
Ma scoprirne la storia, culturale ed economica, durante una passeggiata in mezzo ai campi fioriti, è tutta un’altra cosa.
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